” Francesca Nicchi lavora alle sue creazioni utilizzando tecniche e materiali che evocano in qualche modo l’universo femminile; tessuti, bottoni, fili e grovigli si uniscono a creare questo mondo di racconto unendo al linguaggio semplice e diretto dell’illustrazione il loro emisfero tattile come se l’arte di Francesca Nicchi in qualche modo invitasse ad utilizzare tutti i nostri sensi e non soltanto la vista.
Queste donnine così piccole sembrano invece imporre ad alta voce la loro urgente presenza e raccontarsi mantenendo un filo diretto tra loro e chi le osserva, sempre tornando ad evocare il racconto, la parola, la scrittura, la comunicazione che toglie i margini e avvicina l’opera a noi stessi e al nostro mondo interiore, e quando l’arte riesce a fare questo, è davvero bello.”
L’opera d’arte è un ponte tra l’uomo e l’altro.
Maria Lai, grandissima maestra, diceva così. Ed è un pensiero che il lavoro di Francesca Nicchi abbraccia totalmente.
“Pitture e sculture tessili”, così si potrebbero chiamare le sue opere che non trovano una collocazione nè una categorizzazione, sguizzano e scalpitano vivaci al di fuori di schemi e definizioni con la magia della loro dolce e viva spontaneità.
Francesca lavora alle sue creazioni utilizzando tecniche e materiali che evocano in qualche modo l’universo femminile; tessuti, bottoni, fili e grovigli si uniscono a creare questo mondo di racconto unendo al linguaggio semplice e diretto dell?illustrazione il loro emisfero tattile come se l’arte di Francesca Nicchi in qualche modo invitasse ad utilizzare tutti i nostri sensi e non soltanto la vista.
Non sono proprio pitture perché hanno tre dimensioni, create dai grovigli e dagli altri elementi tessili che l’artista inserisce nelle sue creazioni.
Bamboline da prendere in una mano, da toccare, esplorare. Viene proprio voglia guardandole di sentire e percepirne ogni groviglio, ogni sensazione data dagli elementi poveri che le compongono : pezzi di tessuti, spaghi, perline, segni cuciti. Tutti questi elementi compongono un insieme visivo che se guardato da lontano sembra dipinto, tanto l?artista riesce con maestria artigiana a comporre ogni piccolo minuzioso dettaglio delle sue figure. Se ci avviciniamo il mondo che da lontano veniva appena percepito, si rivela completamente allo sguardo, dandoci anche il senso del tempo con il quale lo sguardo abbraccia tutta l’opera.
Il filo nell’arte ha una storia lunghissima. Sono state tantissime le artiste a sceglierlo come linguaggio e a riscattarne spesso un valore simbolico di costrizione della donna. Innumerevoli sono le storie e le legende che inchiodano la donna al filo, da Penelope, Arècne, Arianna, ma anche senza scivolare nel mito, in alcune tradizioni che ancora sopravvivono il filo e la donna hanno molto da raccontarsi. Chissà perché? Può venire in mente la vita, il cordone ombelicale che ? il primo filo dal quale la donna separa la nuova vita. Ma nella storia dell’arte soprattutto negli anni settanta molte sono state le artiste che da quel filo hanno voluto riscattarsi, riprenderlo come una voce, farne una scrittura di liberazione. Sicuramente il lavoro di Francesca sfiora in parte questo mondo immaginifico legato alla donna e al filo, se pure in maniera indipendente.
Molte delle “illustrazioni tessili” di Francesca possiedono sembianze femminili, basta guardare alle sue Ma-donne. Il ma privativo racconta forse la loro non categorizzazione, la loro non-religiosità. Ma loro sono donne che si impongono come urgenze sottili alle mani dell’artista, che si plasmano in atti creativi i quali non possono dirsi conclusi finche le sembianze necessarie non sono state raggiunte. E’ come se fossero loro a spingere fuori, per prendere finalmente vita: tante donne in un’unica donna. Le linee, le forme, i grovigli, suggeriscono ed evocano anche territori e paesaggi della città dell’artista (Gubbio). Piccoli visi, lunghi capelli, corpi affusolati e sguardo fermo. Queste donnine così piccole sembrano invece imporre ad alta voce la loro urgente presenza e raccontarsi mantenendo un filo diretto tra loro e chi le osserva, sempre tornando ad evocare il racconto, la parola, la scrittura, la comunicazione che toglie i margini e avvicina l’opera a noi stessi e al nostro mondo interiore, e quando l’arte riesce a fare questo, è davvero bello.
Anna Di Matteo